DA KANDINSKY A POLLOCK. La grande arte dei Guggenheim. Firenze, 19 marzo 2016 - 24 luglio 2016
A Palazzo Strozzi sono in mostra circa 100 capolavori provenienti dalle collezioni Guggenheim, Solomon e Peggy, zio e nipote. Tale mostra suggella un legame di Peggy con Palazzo Strozzi che risale al febbraio del 1949 quando, tornata in Europa, inaugurò gli spazi della Strozzina decidendo di mettere in mostra la propria collezione, che avrebbe poi trovato fissa dimora a Venezia. Le 26 opere esposte in quell’anno sono nuovamente proposte nella rassegna odierna. E’ possibile confrontare le prestigiose opere raccolte dai due grandi collezionisti e mecenati del ‘900 in un percorso espositivo articolato dai più importanti capolavori dei massimi artisti europei e americani, appartenenti ai grandi movimenti artistici che hanno definito l’arte moderna del XX secolo.
Si inizia con la coloratissima e splendida tela “Curva Dominante” (1936) di Vasily Kandinsky, quadro un tempo di proprietà di Peggy Guggenheim, alla quale fu consigliato di venderlo, perché ritenuta un’opera fascista, per poi pentirsene e ritrovarlo anni dopo nel museo dello zio Solomon. Questo quadro occupa il fondale prospettico della prima sala in cui troviamo, tra le opere conservate al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, “Comoposizione XI” di Theo Van Doesburg, fondatore nel 1917 della rivista De Stijl e del conseguente movimento artistico del Neoplasticismo insieme a Piet Mondrian. Vicino alla rivista era anche Constantin Brancusi, di cui vediamo esposta la scultura “Uccello nello spazio” (1932-1940) appartenente alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Ammiriamo la monumentale tela di Max Ernst “Il bacio” del 1927, manifesto del surrealismo e immagine di copertina della celebre mostra del 1949 alla Strozzina. Splendida la statua di Alberto Giacometti “Donna che cammina” del 1936 (fusa in bronzo nel 1969), un’esile figura senza testa, di cui è celebre la foto nell’auto decappottabile della Guggenheim, mentre viene trasportata a Venezia. Le opere di questa prima sala ci preparano e ci chiariscono le origini delle due collezioni, la prima astratta, creata da Solomon a partire dal 1929 con la baronessa Hilla Rebay, consigliera e curatrice del suo museo, la seconda, raccolta da Peggy a partire dagli anni ’30 in Europa, si consta delle maggiori espressioni delle avanguardie della prima metà del ‘900. Si prosegue nella sala dedicata alla grande passione di Peggy, il Surrealismo. Stupendo il quadro di Paul Delvaux “La nascita del giorno” o “L’aurora” (1937), un dipinto incantato (tra i preferiti della Guggenheim) in cui vi sono quattro donne-alberi, che al posto delle gambe hanno la corteccia. Sono evidenti le ombre lunghe, caratteristiche della visione inquietante, tipica della metafisica di De Chirico, una lunga prospettiva e lo specchio che riflette un seno femminile, quasi come se una quinta donna spettatrice fosse collocata davanti al quadro (sempre la stessa figura presa come modello, la moglie del pittore). Come in altri surrealisti, anche in Delvaux vi è una contraddizione tra la stranezza delle presenze e il realismo rappresentativo, in cui l’automatismo libera dal subconscio l’incubo della presenza femminile continua e ossessiva. Importanti i ready-made del grande amico e consigliere Marcel Duchamp, di cui vediamo esposta la “Scatola in una valigia” (1941), una piccola borsa di pelle di cinghiale che contiene tutte le riproduzioni delle opere dell’autore. A proposito di questo insolito oggetto, la “Dogaressa” Peggy diceva che sarebbe stato diverte trascorrere un fine settimana portandosi dietro quella valigia invece che la solita con l’indispensabile. Troviamo anche il celebre “Busto di uomo in maglia a righe” (14 settembre 1939) di Pablo Picasso (di cui esistono 10 versioni realizzate tra il 13 e il 17 settembre del 1939) e “Il sole nel suo portagioie” (1937) di Yves Tanguy (a lungo amante della Guggenheim e per la quale disegnò degli splendidi orecchini da aggiungere alla sua già ricca collezione). Continuiamo con la pittura convulsa di Pollock, esponente dell’Action Painting, che grazie al sostentamento economico di Peggy divenne uno dei più importanti artisti americani. Nelle opere degli inizi è evidente l’influenza di Picasso e del Surrealismo come in “La donna luna” (1942) e in “Bufalo d’acqua” (1946). La tecnica del dripping è visibile nella tela “Senza titolo (Argento verde)” del 1949 e in “Sentieri ondulati” del 1947. Ci addentriamo nella sezione dedicata al movimento artistico americano degli anni ’50 “l’Espressionismo Astratto” (una pittura completamente nuova nata da giovani artisti americani, ispirati ai pittori europei astratti e surrealisti, che si erano rifugiati a New York durante la guerra), le cui figure più rappresentative sono quelle di Willem de Kooning e Hans Hofmann. Nella sezione incentrata sulla pittura del dopoguerra e dei cosiddetti informali europei, apprezziamo Albero Burri con le famose plastiche (Bianco B, 1965), Lucio Fontana con i famosi buchi e tagli dei “Concetti Spaziali” e Mirko Basaldella con le sue sculture (Leone urlante II, 1956). Sempre nell’ambito della pittura Informale, la bellissima tela del pittore veneziano Emilio Vedova “Immagine del tempo” (1951), proveniente dalla Collezione Peggy Guggenheim. Una piccola sala raccoglie gli oggetti d’arte di cui Peggy amava circondarsi nelle sue abitazioni: le scatole di Joseph Cornell, i rayogrammi di Man Ray, un piccolo disegno del poliedrico Jean Cocteau e “Studio di scimpanzé” (1957) di Francis Bacon, il dipinto che la Guggenheim scelse di esporre nella sua camera da letto a Venezia, sopra alla spalliera “mobile” del letto realizzata da Calder. Proseguiamo nell’ampia sala dedicata alla pittura americana, il cui fondo è dominata dal materico e gestuale quadro “Elegia per la Repubblica spagnola n°110 (Pasqua 1971)” di Robert Motherwell, i cui esordi sono collegati alla rivoluzionaria stagione dell’Espressionismo Astratto. E’ possibile apprezzare, oltre alle opere geometriche di Frank Stella e di Kenneth Noland, le 5 grandi sculture della serie “mobile” di Alexander Calder, create tra gli anni 1950 e 1960, con le quali modificò la tradizionale idea plastica. Fu un’artista molto stimato da Peggy e gli dedicò un’importante retrospettiva organizzata al museo dello zio nei primi anni ’60. In una sala oscurata si possono ammirare le 6 giganti fasce cromatiche di Mark Rothko, illuminate dall’alto con un sistema di faretti che puntano direttamente sulle opere. L’effetto che ne viene generato è di tavole retroilluminate i cui colori sono incredibilmente esaltati. Concludiamo questo meraviglioso percorso espositivo, tra i capolavori Guggenheim, con gli anni ’60. Incontriamo Jean Dubuffet, che influenzerà la Street Art con le sue opere a base di linee nere e macchie di colori primari, Cy Twombly con la sua tecnica calligrafica dei graffiti su sfondi grigi, che danno l’illusione di lavagne scarabocchiate a metà tra pittura e incisione, e i tagli meravigliosi di Fontana. Infine, la monumentale opera di Roy Lichtenstein intitolata “Preparativi” (1968), in cui l’esponente dalla Pop Art realizza una denuncia verso la guerra del Vietman. Con il suo tipico stile riproduce il fotogramma dei fumetti con la pittura, ingrandisce il retino fotografico o il tratteggio a linee parallele, rivelando in questo modo la loro meccanicità.
Per un maggior approfondimento consigliamo il nostro articolo sulla Peggy Guggenheim Collection di Palazzo Venier dei Leoni a Venezia, presente nella sezione MUSEI.
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