Museo MADRE di Napoli, via Luigi Settembrini 79

L’ottocentesco complesso Donnaregina è sede del MADRE, il museo di arte contemporanea di Napoli. Il restyling del museo, inaugurato nel 2005, è stato realizzato dall’architetto portoghese Alvaro Siza. Le maniglie e i loghi delle toilette, le scale che portano alla terrazza, con gli inconfondibili tagli di luci e ombre, sono elementi che si accomunano ad un altro progetto dell’archistar, quello della stazione Municipio della metropolitana linea 1 di Napoli, recentemente inaugurata. Nella sala Regia del complesso lo spettatore viene accolto dall’installazione site-specific “Comm en enfant” dell’artista francese Daniel Buren. Le costruzioni architettoniche, come quelle dei tradizionali giochi per bambini, rendono lo spazio rarefatto che si accelera grazie ai colori e agli effetti optical. Il pubblico diventa partecipe ed entra in relazione con l’opera in situ di Buren, le superfici e i colori, cambiando, danno effetti ottici attraverso i moduli standard simili a quelli delle costruzioni per bambini.

Tra le collezioni site-specific al primo piano vi è un meraviglioso murales realizzato da Francesco Clemente, esponente della Transavanguradia, tendenza degli anni ’80 teorizzata da Achille Bonito Oliva. Postula il superamento delle avanguardie e il ritorno alle forme tradizionali, un controverso recupero della tradizione. L’opera di Clemente, realizzata per la prima apertura del museo, è omaggio alla città e si fonda proprio sull’archetipo della napoletenità. Nell’imponete murales, che si innalza fino al secondo piano attraverso un vano centrale che collega soffitto e calpestio dei due livelli, sono evidenti gli elementi simbolici partenopei, quello del minotauro e della riggiola. Continuiamo con le sale dedicate alle opere in situ e troviamo quella dell’artista post-pop statunitense, Jeff Koons. Vi sono due grandi teleri, come le antiche tele di grandi dimensioni, il cui tema in questo caso è caratterizzato da un nuovo lessico e nuove icone, trash e pop. Al centro della sala vi era un totem che dialogava con le due tele alle pareti, successivamente ritirato da Koons per la poca affluenza di pubblico, prima che fosse costituita la Fondazione Donnaregina e del conseguente restyling del complesso. Continuiamo con l’opera dell’artista anglo-indiano Anish Kapoor, un buco nero che rende l’ambiguità della percezione, non si riescono infatti a percepire gli angoli e si ha quasi l’impressione che sia un fondo nero privo di profondità. Bellissima l’installazione di Mimmo Paladino, presenta sulle pareti dei segni grafici che riproducono totem, pesci, alberi e croci. A ridosso del muro, avvolta da questi segni ancestrali al limite dell’astrazione, quasi primitivi e catacombali, c’è una figura statuaria. L’artista greco Jannis Kounellis con la sua installazione fa un omaggio a Napoli e alla mediterraneità con un enorme ancora alle cui spalle vi è una griglia, riferimento alle cattedrali napoletane. Passeggiando lungo i corridoi che separano una sala dall’altra si può scorgere dalle finestre l’antico complesso Donnaregina con il settecentesco chiostro di Sanfelice. L’installazione di Rebecca Horn, già proposta in precedenza a piazza del Plebiscito, è ispirata alle “capuzzelle” del cimitero delle Fontanelle e si fonda sul tema della vanitas. E’ una vera e propria performance in cui gli specchi si muovono e cadendo mostrano il teschio che vi è dietro. Siamo noi stessi a essere parte dell’opera perché specchiandoci interagiamo con essa e da incompleta la rendiamo completa. L’opera si crea, si svuota e si ricompleta ogni volta che qualcuno entra nella sala determinando un continuo rifacimento di essa. L’installazione di Giulio Paolini è un’analisi del processo di realizzazione dell’opera e della sua riproduzione. Vediamo la tela, la tela con la preparazione, il segno, la struttura, la quadrettatura, la cornice e la teca in cui viene esposto il quadro. Viene annullato l’oggetto, cioè in questo caso il quadro, ed è preparatorio al concetto che sembra mancare ma in realtà è l’unica cosa che resta proprio perché manca. L’opera di Joseph Kosuth è espressione dell’eredità del dadaismo manifesta nell’arte concettuale che vuole prescindere dall’oggetto e ridurre l’arte a puro concetto, ma le due cose corrispondono. Mancando il concetto viene usata la materia ed è per questo che il concetto invece vince. L’opera di Richard Serra induce ad una diversa fruizione dello spazio, riformulandolo. L’installazione è contro lo spazio stesso che la ospita, è in opposizione ad esso. Gli elementi volumetrici che la costituiscono si innalzano in orizzontale e in verticale e possono essere attraversate dallo spettatore, in accordo con il concetto della musealizzazione di Serra, secondo cui le opere, spesso in conflitto con l’architettura ospitante, sono fatte per essere vissute. Tra le collezioni permanenti possiamo ammirare un’opera di Sol Lewitt, in cui l’artista inventa dei moduli, stabilendone l’incidenza, e poi li reitera in un progetto realizzato con la collaborazione di un anonimato collettivo. La sua è una sorta di spersonalizzazione dell’arte, concretizzata in progetti di grandi dimensioni. Ciò è evidente nell’installazione di Lewitt per la stazione Materdei della metropolitana di Napoli, in cui l’approccio e la visione di realizzazione sono le medesime. Non possiamo non nominare l’opera di Michelangelo Pistoletto, in cui l’esponete dell’Arte Povera (termine coniato dal critico d’arte Germano Celant) accosta una riproduzione della Venere di Milo a degli stracci. Gli stacci e altri elementi sono veicoli di matericità che sommergono l’elemento classico in una visone dissacratoria. Nel 2009 alla Tate Modern di Londra, il più visitato museo londinese, sito nella zona del Bankside, è stato possibile vedere esposta, nell’ambito di una grande mostra temporanea “Energy & Process”, dedicata all’Arte Povera, un’installazione di Pistoletto equivalente a quella situata al MADRE. La Venere degli stracci (1967/1974), riproduzione della Venere di Callipigia, è circondata da vestiti di seconda mano usati solitamente dall’artista per lucidare i suoi Mirror Paintings (specchi serigrafati con immagini di persone comuni e di cui un esempio è visibile nel “museo in transito”, come da definizione di Bonito Oliva, della metropolitana di Napoli, al piano mezzanino che conduce alle banchine della stazione Garibaldi). Questo genere di installazione rappresenta una doppia imitazione e l’inclusione del classico nell’epoca della riproducibilità tecnica. Il calco in gesso è un prodotto industriale come gli stracci che la dea sembra in procinto di attraversare, abolendo così la sua solennità e facendosi contaminare dal caos. Continuiamo con il video di Marina Abramovic che riproduce l’artista serba filmata per 12 ore. L’opera d’arte in questo caso coincide con la presenza dell’artista, con il suo corpo. E’ l’artista ad essere l’opera d’arte stessa. Sarebbe impossibile citare tutto ciò che di rilevante è conservato al Museo MADRE, tra esposizioni temporanee e permanenti, perché tutto meriterebbe di essere nominato e approfondito.

Per un primo approccio all’arte contemporanea, a molti ancora ostica, raccomandiamo la lettura di tutti gli scritti del Professor Francesco Bonami, curatore e critico d’arte, che con il suo spirito pungente da tipico toscano, ci regala un’analisi onesta e chiara degli artisti contemporanei e della loro arte, da quelli meritevoli, che hanno fatto la storia, a quelli un po’ meno, che si sono rivelati delle meteore. L’arte contemporanea risulta spesso avversa e difficile da comprendere, come ogni forma d’arte vissuta dal proprio tempo. Gli stessi Impressionisti, oggi osannati e amati dai più, furono massacrati dai loro coevi che non ne comprendevano l’arte, per i temi trattati e la tecnica, troppo lontana dalla tradizionale idea accademica. Bisogna pensare che ogni storia, anche quella dell’arte, pur remota o remotissima che sia è sempre storia contemporanea del momento vissuto e che ogni tendenza artistica ha stravolto il codice precedete o comunque quello tradizionalmente inteso. Le tante forme d’arte odierne, per quanto oggi molti non ne vedano il valore, sono espressione di un nuovo linguaggio che comunque, in un modo o nell’altro, rimarrà nella storia. Tra i libri di Bonami consigliamo Lo potevo fare anch’io: una frase spesso pronunciata da chi si trova ad osservare un oggetto di arte contemporanea. Nel libro il critico ci spiega che quello che conta oggi nell’arte contemporanea è l’idea; dire che un’opera è banale e che chiunque sarebbe stato in grado di farla, anche un bambino, non è corretto da affermare. Per quanto facile, quello che conta è che qualcuno ha avuto l’intuizione molto prima di noi e a volte anche l’idea apparentemente più assurda e stupida può risultare geniale; Mamma voglio fare l’artista: per chi aspira a diventare un’artista, Bonami descrive le tappe da affrontare, cosa non fare e quando rendersi conto che forse non fa per noi; il tutto condividendo con il lettore la sua personale esperienza giovanile, quando anche lui aveva questa aspirazione; Dopotutto non è brutto: un’analisi sulle opere contemporanee, architettoniche ed artistiche, in giro per le città italiane; il nostro preferito è Si crede Picasso: Bonami ci racconta molti degli artisti contemporanei (le opere di alcuni dei quali sono presenti al MADRE), quelli talentuosi e quelli mediocri, e i grandi maestri dell’arte presi come modelli da raggiungere (Pablo Picasso, Frida Kahlo, Jackson Pollock), a cui i moderni artisti vorrebbero assomigliare. Ci sono poi tra gli altri Maurizio Cattelan. Autobiografia non autorizzata, dedicata al noto artista italiano, Dal Partenone al Panettone, un modo diverso di raccontare la storia della’arte mettendo a paragone le opere antiche con quelle recenti, Curator in cui Bonami parla della sua vita professionale e della sua esperienza personale nell’arduo mestiere di curatore, il tutto condito dallo spirito sardonico che lo caratterizza, e in ultimo di pubblicazione, ma non meno importante, Il Bonami dell’arte. Consigliamo dello stesso autore un primo e unico romanzo, per il momento, Lezioni di fumo, molto scorrevole e appassionante come tutti i suoi scritti.

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